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Il neolinguaggio fotografico

Il linguaggio fotografico sta perdendo dei vocaboli.

È un argomento molto semplice da comprendere, però mi stupisce il fatto che non mi sembra che mai nessuno l’abbia affrontato.
Vi consiglio di continuare a leggere questo articolo o, se preferite, di ascoltare la versione audio nel Podcast di Scrivereconlaluce.it. poiché si tratta di una questione molto interessante che non riguarda solo la fotografia, ma riguarda anche altri settori delle arti figurative come il cinema o il fumetto.

In questo articolo vi spiegherò:

  • Cosa vuol dire che il linguaggio fotografico sta perdendo dei vocaboli
  • Quali sono le cause di questo fenomeno che ho individuato
  • Farò degli esempi concreti e molto chiari

Prima di tutto, per capire a cosa mi riferisco, quando dico che il linguaggio fotografico sta perdendo dei vocaboli, è opportuno chiarire cosa intendo per linguaggio fotografico.
In senso generale e con una certa approssimazione, si può parlare di linguaggio fotografico riferendosi alla combinazione di questi fattori:
• la luce
• i colori
• la prospettiva
• la messa a fuoco
• gli oggetti ed i soggetti fotografati.

Magari chi ha già una cultura fotografica ha in mente una definizione di linguaggio fotografico leggermente diversa o più accurata di questa, ma voi concentratevi su ciò che ho detto. In particolare, sull’ultimo punto: sugli oggetti che vengono fotografati. Se alcuni di questi oggetti fotografati cadono in disuso, si possono presentare due casi.

  1. Nel primo caso, un oggetto caduto in disuso è stato sostituito da un altro oggetto fisico e, quindi, è fotografabile.
  2. Nel secondo caso, in una società di esseri umani, può accadere che un oggetto cada in disuso, non perché sia sostituito da un altro oggetto fisico più evoluto, ma perché è stato rimpiazzato da una sua forma immateriale.

Ciò che mi interessa affrontare è il secondo caso. Voglio parlare degli oggetti che non verranno più fotografati, perché non saranno più di uso comune, dato che verranno sostituiti da un loro corrispondente digitalizzato e, quindi, immateriale. Per intenderci, non avranno un supporto fisico che li identifica.

Tuttavia, il fatto che non abbiano un supporto fisico che li identifichi, non significa che non esistano, purtroppo, però, per poterli fotografare la presenza di un supporto fisico si rende necessaria. Questo è il problema centrale che voglio rendere ben evidente e, per spiegarlo meglio, farò immediatamente degli esempi.
L’esempio più significativo, per me è quello del libro: nella sua forma cartacea e nella sua forma di e-book.
Il libro nella sua forma cartacea ha delle dimensioni, dei colori, una copertina, delle scritte e una sua massa. Tutto ciò è fotografabile e può entrare far parte di una composizione fotografica, arricchendo l’immagine con svariate informazioni, derivanti, appunto, da tutti questi fattori.
Voi direte: “ma anche un e-book può essere fotografato, infatti, si può mostrare la schermata della copertina!”. Ecco, cercate di non farvi ammaliare da questi pensieri superficiali, ma sforzatevi ad approfondire la questione. Non cercate di imporre soluzioni facili, non perché ciò che è semplice non sia un bene, ma perché in questo modo distogliete la vostra attenzione da quello che è il problema centrale, che vi assicuro, non si può risolvere con espedienti di questo tipo.

Immaginate di avere la vostra macchina fotografica a portata di mano e di trovarvi difronte a questa scena. Siete nel 1980, vi trovate nello studio di un intellettuale, una persona che ha studiato molto, che ha letto molti libri, alcuni dei quali sono i suoi favoriti, e sono presenti, in bella vista, nella sua libreria, dietro la sua scrivania. Altri libri, che deve ancora leggere o che sta leggendo, si trovano appoggiati, uno sull’altro, sopra la scrivania. L’intellettuale è seduto sulla sua poltrona, con un quaderno aperto e vi sta parlano. Prendete la macchina fotografica e premete il pulsante di scatto! Ora, fermatevi un attimo a riflettere: quante informazioni riuscite a raccontare con questa immagine? Naturalmente, voi potete scegliere di inquadrare un oggetto oppure no, scattare da un’angolazione oppure da un’altra. Avete una svariata scelta di opportunità. Per utilizzare un termine che ho introdotto all’inizio del podcast, voi avete a disposizione molti vocaboli per costruire la vostra fotografia. Ora, immaginate di togliere tutti i libri dalla stanza e sostituirli con un tablet. Mi sembra di aver chiarito che il vocabolario, che prima avevate a disposizione per creare la vostra fotografia, adesso che avete tolto tutti i libri presenti nella stanza e li avete sostituiti con un lettore di e-book o con un tablet, si è ristretto! Il linguaggio fotografico ha perso, quindi, dei vocaboli che non potete più utilizzare. Il linguaggio fotografico non è più in grado di comunicare come prima: si è impoverito.

Attenzione! Non sto dicendo che non si potranno più fotografare i libri in assoluto, ma chi vuole documentare o, meglio, rappresentare la realtà, tramite lo strumento fotografico, si scontrerà inevitabilmente con questa situazione: un linguaggio fotografico che diventa limitato. Questo vale anche per chi fa cinema o per chi si occupa di illustrazione o disegno. Al contrario, chi ha intenzione di creare una scenografia potrà inserire nelle sue immagini tutti i libri che vorrà.

Nel passaggio dai libri cartacei a quelli in formato digitale si può dire che si perda la parte fisica, ma il concetto di libro continua ad esistere. Tuttavia, il problema non è tanto nel come poter rappresentare un libro in formato digitale in una fotografia, ma il problema è che non si potrà più realizzare una fotografia come quella dell’esempio dello studio dell’intellettuale anni ’80. L’unico modo per farlo sarà creando artificialmente la scenografia. Ripeto: “artificialmente”.
Voglio che non ci siano fraintendimenti: non sto parlando del legame nostalgico-emotivo con il formato cartaceo dei libri. Sto parlando delle informazioni che si possono ottenere da una immagine corrispondente alla realtà, nel caso in cui i libri, nella loro fisicità, spariscono dall’ambiente. È in questo senso che si crea un impoverimento del linguaggio fotografico. Si tratta di informazioni che non possono essere più incluse in una fotografia, poiché sono immateriali.

Il titolo di questo articolo è un riferimento ad un tema affrontato da George Orwell, nel suo romanzo più conosciuto ed intitolato: “1984”. Non esiste un legame diretto tra ciò che ha scritto Orwell e ciò di cui parlo io. Ci sono delle differenze di cui sono ben consapevole, ma c’è anche qualche analogia. Non ho intenzione di approfondire l’argomento della neolingua di George Orwell, ma due parole è giusto spenderle. Orwell si riferiva al linguaggio scritto e parlato. Se il linguaggio si impoverisce, si perde anche la capacità di effettuare dei ragionamenti complessi o, addirittura, non si potranno più nemmeno affrontare certi argomenti. Il concetto di neolingua orwelliana è molto affascinante e ci sarebbero molte sfumature da approfondire, ma io mi fermo qua, poiché sto parlando di fotografia, mentre Orwell parlava della scrittura e del linguaggio parlato. Inoltre, sto parlando di fotografia in un mondo in cui alcuni oggetti di uso comune perdono la loro forma fisica per assumerne una in formato digitale.

Vi ho introdotto l’argomento, ho fatto un esempio e vi ho spiegato il motivo per cui ho scelto come titolo “il neolinguaggio fotografico”. Grazie all’esempio credo che abbiate capito anche la causa che mette a rischio la ricchezza del linguaggio fotografico, cioè il passaggio da un supporto fisico degli oggetti all’immaterialità dei bit. Se un oggetto viene fotografato, la sua presenza nell’immagine aggiunge delle informazioni alla fotografia stessa. Infatti, può aiutare a raccontare una storia, a spiegare un concetto e a dare all’osservatore degli indizi.
Al contrario, se quell’oggetto (o, meglio ancora, una serie di oggetti) viene sostituito nell’uso comune da qualcosa di immateriale, come può essere un e-book o un’intera libreria in formato digitale, non può più essere inserito all’interno della fotografia, se non tramite degli “espedienti” artificiali.

Rimango in tema e faccio un altro esempio: prendiamo la macchina da scrivere. È un oggetto molto fotogenico, che ha avuto un grande successo tra gli anni ’40 e la metà degli anni ’80 del Novecento. Inserirlo in una fotografia raccontava già qualcosa. Chi possedeva una macchina da scrivere? Scrittori, giornalisti, professori universitari o laureandi. Già da sola, forniva delle informazioni, poiché veniva utilizzata da un gruppo ristretto e ben definito di persone. Cosa è successo poi? È stata sostituita dal computer. Questo è accaduto nella seconda metà degli anni ’80 del secolo scorso. In questo caso, un oggetto caduto in disuso è stato sostituito da un altro oggetto fisico. Non so se vi ricordate, ma all’inizio di questo articolo ho accennato ad una eventualità di questo tipo. Così come era possibile fotografare una macchina da scrivere, il suo sostituto, il computer, è anch’esso fotografabile. Secondo voi, dal punto di vista del linguaggio fotografico si è perso qualcosa in questo passaggio? Il computer è ancora utilizzato da scrittori, giornalisti, professori e laureandi? Per ora sì, quindi, l’immagine di un computer può ancora veicolare le informazioni che era in grado di suggerire l’immagine di una macchina da scrivere. C’è però un problema! Chi usa il computer oggi, oltre alle figure elencate in precedenza? Una marea di persone! Gamer, impiegati, professionisti, manager, negozianti, venditori, youtuber… Se l’immagine di una macchina da scrivere portava con sé una serie di informazioni, l’oggetto fisico che l’ha sostituita, cioè il computer, ne porta molte di più.

  • Voi vedete la fotografia di un signore con una macchina da scrivere e pensate: “sarà uno scrittore!”
  • Voi vedete la fotografia di un signore con un computer e pensate: “Boh?!”
  • Voi vedete la fotografia di un signore con un computer sul cui schermo è aperto il sito web di un’azienda, dove c’è la fotografia della persona in questione: a questo la situazione è molto più chiara.

Le informazioni che il computer può offrire in una fotografia non si equivalgono a quelle che poteva fornire una macchina da scrivere. In generale, ogni volta che nella società in cui viviamo un oggetto cade in disuso e viene sostituito da qualcosa d’altro, ci sono delle ripercussioni sul vocabolario che abbiamo a disposizione per creare le nostre fotografie.

Ciò che sto notando è, che durante il processo di smaterializzazione che comporta la perdita del supporto fisico in favore della forma digitale molti “vocaboli” (io li ho chiamati così in questo articolo) si perdono e non vengono sostituiti da altri. Come ho spiegato, questo fenomeno rischia di impoverire il linguaggio fotografico che possiamo utilizzare.

Attenzione, però, che inquadrare lo schermo di un computer, o di un tablet, non risolve la questione, poiché si tratta di un’informazione che, pur apparendo a prima vista accurata, ha dei limiti: non ha l’impatto visivo che può avere una biblioteca di libri antichi, rilegati a mano, oppure di libri tascabili, consumati e ingialliti o, al contrario ancora incellofanati…

Vi faccio un altro esempio che ritengo significativo: parliamo di musica. Ad un certo punto della storia è stato inventato il giradischi, un oggetto estremamente cinematografico e fotogenico. Il giradischi non ha sostituito la musica dal vivo. Per funzionare gli servono i dischi in vinile, che sono stati venduti all’interno di copertine illustrate e, spesso, molto curate. La fotografia di una stanza in cui sono presenti un giradischi e una collezione di dischi, riesce a comunicare molto circa le persone che hanno frequentato o hanno vissuto in tale lungo. Le informazioni che può fornire sono moltissime. Ora pensate alla musica in streaming, su supporto digitale: dal punto di vista cosa rimane? Nulla, a parte magari ad una cassa audio. Se vai, quindi, a fotografare una casa in cui si ascolta la musica, oggi, cosa fotografi? Una chiavetta USB che contiene la playlist? La musica c’è, ma non si vede, se perde il supporto materiale non è più fotografabile.
Voi direte: “un bravo fotografo troverà sicuramente il modo interessante per rappresentare la scena”. No, ragazzi! Non può funzionare, non si può continuare a fotografare schermi del computer ogni volta che dobbiamo rappresentare qualcosa che è stato smaterializzato ed è passato alla forma digitale.
Rimangono i concerti dal vivo, da fotografare, per ora…