Embedded Photography è propaganda
Dal punto di vista razionale non si può che accettare questa affermazione: l’Embedded Photography è propaganda. Ci si può sforzare per cercare di confutarla, ma ci si renderà conto, prima o poi, che qualsiasi argomentazione contraria sarà inevitabilmente debole e frutto di suggestioni.
Non importa quanto il fotoreporter sia bravo, autorevole, furbo, capace, integerrimo, dedito al suo lavoro ed in grado di lavorare in modo lucido sotto forte stress. Ciò che conta è che nel caso della fotografia embedded il fotografo che si trova al seguito dell’esercito viene inserito in una gerarchia e sarà libero di fare quello che vuole sino a quando il suo volere coinciderà con quello dei suoi superiori e i suoi comportamenti ed il suo lavoro non intralcerà gli interessi di chi controlla l’esercito. Di conseguenza, il lavoro che farà sarà subordinato alle esigenze di chi guida l’esercito. Questa è la regola ed in base a questa regola, il fotografo embedded è un fotografo di propaganda.
Qualcuno potrebbe essere fuorviato a credere che un fotografo che lavora per una rivista prestigiosa, sarà comunque in grado di effettuare dei reportage liberi da condizionamenti, lavorando come embedded photographer nei ranghi di un esercito. Tuttavia, se ci pensate per più di un millisecondo, vi chiederete come mai, se è un fotografo tanto autorevole, con tantissima esperienza e che lavora per una rivista prestigiosa, dovrebbe prendere ordini da un ufficiale dell’esercito. Per quale motivo non dovrebbe essere in grado di cavarsela da solo (e con il supporto della prestigiosa rivista per cui lavora), senza essere costretto nei ranghi dell’esercito a ricevere ordini da un ufficiale? Per la sua sicurezza? Inoltre, i militari per quale motivo dovrebbero proteggere un fotoreporter se non possono controllarne il lavoro? Se il lavoro del fotoreporter è filtrato dalla censura militare, allora ciò che ne uscirà sarà fotografia di propaganda.