In amore e in guerra
“In amore e in guerra”
Recensione del libro di Lynsey Addario
Si tratta di un libro autobiografico in cui l’autrice, la fotoreporter Lynsey Addario, racconta un periodo della sua vita lungo più di vent’anni, mettendo in particolare evidenza la sua evoluzione come fotografa di guerra in relazione ai rapporti con i suoi familiari, con i suoi amici e con i suoi colleghi.
Quella che a prima vista sembra essere una vicenda privata, in realtà, non lo è. Non è solo la storia di una donna in carriera che si divide tra lavoro e famiglia; nel libro c’è molto di più. Parlando della propria vita, della propria crescita professionale e personale, l’autrice non fa altro che mettere al centro della narrazione quello che è il vero protagonista del volume: il fotogiornalismo, analizzato in molteplici delle sue sfaccettature.
Cosa significa essere una fotoreporter?
Essere sempre in viaggio: non si sa mai quando si parte e non si sa mai quando si ritornerà a casa. La stessa idea di casa può addirittura perdere di significato.
“saltare sul primo aereo, sentire l’obbligo e la responsabilità di documentare guerre, carestie e violazioni dei diritti umani, questo era il mio lavoro”.
Viaggiare in continuazione comporta l’impossibilità di mettere radici in un luogo e quindi di instaurare delle relazioni continuative con altre persone. Il lavoro ha la precedenza su ogni altra cosa. Se non si è presenti a documentare un evento, ci sarà qualcun altro a farlo. Essere alla ricerca continua dello scoop significa questo: essere perennemente in viaggio e questo stile di vita mette alla dura prova le relazioni con chi ti sta vicino.
Lynsey ha avuto un ruolo da protagonista in quella che probabilmente si può dire sia stata l’ultima generazione di fotoreporter. Nel 2003 i budget dei giornali erano ancora molto generosi e venivano affidati incarichi della durata di due o tre mesi, per garantire la presenza sul posto dei propri inviati. Ora non è più così quei giorni sono finiti.
A cosa pensa (o meglio, a cosa pensava) un fotoreporter in zona di guerra? Lynsey Addario è sempre stata consapevole dei pericoli che correva? Esiste una vocina interiore che ti dice quando è il momento di scappare?
Per quanto possa essere banale scriverlo, la guerra comporta dei pericoli: autobombe, cecchini, mine, rapimenti, agguati, “fuoco amico” ed incidenti possono provocare la morte immediata o gravi danni fisici permanenti ed invalidanti. Trovarsi in una zona di guerra incrementa in modo esponenziale le probabilità di essere uccisi. Se devi fotografare la guerra, non puoi fare a meno di trovarti sul posto.
“Per quanto fosse scontato, non mi ero mai fermata a riflettere sul fatto che la guerra significava morte, e che anche un giornalista poteva rimanere ucciso.”
Linsey Addario è stata rapita in Iraq e in Libia ed è stata ferita in un grave incidente in Pakistan. Nel suo libro scrive anche di autisti, interpreti, giornalisti, cameramen e fotoreporter con cui aveva instaurato dei legami di amicizia e che sono stati uccisi in zone di guerra.
Per chi ha seguito (seppure da spettatore) le vicende del fotogiornalismo internazionale, a leggere questo libro tornano in mente una miriade di immagini: fotografie, documentari e telegiornali. Non posso fare a meno di pensare a Restrepo, il documentario del 2010 prodotto e diretto da Tim Hetherington e da Sebastian Junger. Lynsey Addario prese parte per diversi giorni alla stessa spedizione a cui partecipava Tim Hetherington, proprio mentre lui stava girando Restrepo.
“Questa volta si sarebbero uniti a noi altri due fotografi, Tim Hetherington e Balazs Gardi. Il capitano Kearney lasciò decidere a noi quale plotone accompagnare per la missione”.
Ma Tim Hetherington e Balazs Gardi non sono gli unici fotoreporter di cui la Addario parla nel suo libro. Mentre documentava le guerre in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Sudan ed in altri paesi, ha condiviso viaggi, giorni di prigionia, fughe e lunghi momenti di attesa con altri fotografi. Ad un pubblico che abbia una certa cultura fotografica, leggere “In amore e in guerra” farà tornare in mente anche le immagini realizzate da questi fotografi. E se non riemergessero dalla memoria, sarà sufficiente fare una ricerca sul web, per vederle. Le vicende della Addario si intrecciano inevitabilmente con quelle di buona parte dei fotogiornalisti che, tra la fine degli anni novanta ed i primi quindici anni del duemila, si sono trovati in prima linea a documentare la guerra. E’ in questo senso che il libro diventa un documento rilevante sugli ultimi anni del fotogiornalismo.
Emergono, una dopo l’altra, tutte le figure professionali che ricoprivano un ruolo determinante per l’attività di un fotoreporter: direttori di giornali, photo editor, giornalisti, autisti, interpreti e colleghi. Leggendo il libro si può intuire quale sia stato il loro contributo nella realizzazione dei reportage della Addario: un contributo professionale ed umano allo stesso tempo. Colleghi, giornalisti e photo editor, sono tra i pochi che hanno avuto la possibilità di capire il lato privato della professione di fotoreporter. Non è quindi una sorpresa, se è all’interno di questa cerchia ristretta che si sono formati la maggior parte dei legami di amicizia della protagonista.
Come sono nati i servizi fotografici e perché? A quali costi sono stati realizzati? Quale ruolo ha avuto la censura? Indirettamente nel libro si parla anche di tutto questo. “In amore e in guerra” è una preziosa testimonianza che aiuta a capire un mondo recente, ma che forse non c’è più: il mondo del fotogiornalismo.
La vita privata di una fotografa di frontiera
“Il mio lavoro sarebbe sempre venuto prima di ogni altra cosa, perché quando arrivava qualche notizia io dovevo, e volevo, esserci. Sapevo che, se non fossi stata presente a documentare l’evento, l’avrebbe fatto qualcun altro”.
È il ritratto di una donna in carriera, orgogliosa del proprio lavoro e dei risultati professionali raggiunti. Ma il suo lavoro non le ha richiesto solo frequenti viaggi e lunghi periodi fuori casa. Fare la fotoreporter di guerra l’ha spinta a correre dei rischi particolari: è stata rapita due volte e in un’occasione i cecchini talebani le hanno sparato contro…
In una situazione lavorativa di questo genere, quale spazio ci può essere per i rapporti personali? Con i propri genitori? Con i fidanzati? C’è spazio per un matrimonio? Avere un figlio può essere un ostacolo alla carriera? Svolgere una professione che mette a repentaglio la propria vita, quali ripercussioni può avere nei confronti dei famigliari? Sono tutti temi che la Addario affronta nel libro, senza apparenti autocensure.