Il nuovo sito di Yousuf Karsh
Sono felice che sia stato pubblicato un sito dedicato al fotografo Yousuf Karsh. Ora è possibile leggere online una breve biografia della sua vita, vederlo in alcuni spezzoni video e guardare un discreto numero di fotografie da lui realizzate.
Karsh nacque in Armenia (Turchia) nel 1908; nel 1925 si imbarcò a Beirut ed arrivò, dopo ventinove giorni, al porto di Halifax, in Canada. Suo padre non sapeva leggere né scrivere, ma aveva buon gusto e viaggiava molto per lavoro. Era un commerciante di mobili, tappeti e spezie. Sua madre, invece, aveva ricevuto un’istruzione ed amava leggere la Bibbia.
Yousuf Karsh si recò in Canada, perché lì viveva il fratello di sua madre: lo zio Nakash. Era un fotografo. La madre di Yousuf aveva incoraggiato il figlio a partire per l’America con la speranza che diventasse un dottore, ma in quel periodo lui aveva già diciassette anni, non parlava né francese, né inglese e non aveva ricevuto un’educazione formale; inoltre, scoprì ben presto di avere un altro interesse: appena mise piede nello studio dello zio fu subito affascinato da tutto ciò che riguardava la fotografia…
Nel 1926 iniziò a lavorare presso lo studio fotografico dello zio a Sherbrooke. Dopo poco tempo, Nakash lo incoraggiò a lavorare presso un suo amico ritrattista: John H. Garo di Boston. Sotto la guida di quest’ultimo apprese le principali tecniche artistiche di stampa fotografica.
Nel 1931 si trasferì ad Ottawa, città in cui aprì il proprio studio fotografico, sperando di fotografare gli abitanti più importanti ed i numerosi visitatori di rilievo provenienti da tutto il mondo. Iniziò a collaborare con la rivista Saturday Night.
Fotografando gli attori del Little Theatre di Ottawa, si rese conto per la prima volta delle potenzialità che offriva la luce artificiale. Inoltre, incontrò in un camerino colei che divenne sua moglie, Solange Gauthier e fece anche amicizia con uno degli attori: il figlio del Governatore.
Nel 1936, in occasione della visita del presidente degli Stati Uniti d’America – Franklin Delano Roosevelt – Karsh fu invitato a fotografarlo. Quel giorno conobbe anche il Primo Ministro canadese: King, che alcuni anni dopo gli diede la possibilità di immortalare Winston Churchill nel ritratto che rese Karsh un fotografo di fama internazionale.
Ciò che si nota leggendo la (auto)biografia di Karsh è il suo desiderio esplicito di fotografare le persone più importanti della sua epoca. Su karsh.org ci sono i ritratti di: Albert Eistein, Churchill, Ernest Hemingway, George Bernard Shaw, il generale Eisenhower, Jacqueline Kennedy, Grace Kelly, Fidel Castro, Picasso, Mirò, Audrey Hepburn, Madre Teresa, Humphrey Bogart, Mohammad Ali, Audrey Hepburn…
Naturalmente nel corso della sua carriera fotografò molti altri personaggi leggendari: presidenti, reali, artisti, ecc. Ad esempio, durante e dopo la seconda guerra mondiale Karsh ebbe l’opportunità di fotografare la famiglia reale inglese a Bukingham Palace, viaggiò in Europa ed in Africa, luogo in cui ritrasse i reali del Marocco.
Si legge, che al termine della sua carriera, una delle domande più frequenti che gli chiedevano era se pensasse che ci fossero ancora tanti grandi uomini e grandi donne da fotografare come in passato.
Secondo Yousuf Karsh l’infinito fascino di questi personaggi era legato a quella che lui chiamava carica interiore (inward power), ed è proprio questa carica interiore che ha cercato di impressionare su pellicola per tutta la sua vita.
The mask we present to others and, too often, to ourselves may lift for only a second—to reveal that power in an unconscious gesture, a raised brow, a surprised response, a moment of repose. This is the moment to record.
Non ho mai incontrato questo fotografo, ma alcuni anni fa guardando un documentario realizzato da Harry Rasky ed intitolato Karsh: The Searching Eye ho capito quanto possano essere importanti le parole che si dicono al soggetto fotografato mentre lo si ritrae: anche un semplice aggettivo può fare la differenza. Se si pronuncia una frase sbagliata durante una seduta fotografica, si rischia di perdere tempo o, addirittura, di non ottenere la foto che si vuole.
Nel documentario di Rasky, il fotografo, ad un certo punto chiede al compositore Leonard Berstein, che si trova in posa di fronte all’obiettivo di essere: “Un po’ più filosofico“…
Karsh: “Un po’ più filosofico“.
Berstein: “Non so che significa“.
Karsh: “Va bene, significa…”
Berstein, un po’ contrariato: “Non ho idea di cosa significhi filosofico“.
Karsh: “Significa meno pessimistico, togli la mano dalla fronte“.
Berstein: “Forse tu intendevi meno eccentrico“.
Karsh, rivolto verso la macchina fotografica, si toglie gli occhiali, li pulisce e mormora: “Ho sbagliato, sbagliato, sbagliato…”
Berstein continua: “Stravangante.” “Filosofico non significa nulla.”
Karsh, cerca quindi di cambiare discorso: “Ho visto il film del nostro amico Larry Lasky su Chagall” e contina raccontando un aneddoto divertente, così Berstein cambia atteggiamento e Yousuf può continuare a scattare…
Questo breve spezzone del documentario non è presente sul sito, peccato! Perché mostra quanto siano importanti le parole che pronuncia il fotografo mentre sta eseguendo un ritratto. Lo scopo è quello di creare le condizioni favorevoli per catturare la “carica interiore” del soggetto.
Il link: http://karsh.org/