Fotografia di reportage: immagini più o meno costruite
In questo video che ho girato al Photoshow di Milano un po’ di tempo fa, il fotografo Alberto Roveri, collaboratore della rivista Panorama, spiega che per fotografare l’abbazia di Sappada (ho scritto giusto il nome?) ha dovuto portare sul posto un frate benedettino.
I frati benedettini non vivono più nell’abbazia, tuttavia il fotografo dice: “L’ abbazia l’hanno costruita loro, ci hanno lavorato fino a pochi anni fa” e quindi secondo lui non avrebbe avuto senso fotografare l’abbazia senza un frate, così ci ha pensato il fotografo a portarselo dietro.
A rigore si tratta di un falso, di una fotografia che suggerisce un contenuto non veritiero, ossia la presenza dei frati nell’abbazia, frati che invece non ci sono più. Eticamente il comportamento del fotografo sembra assai riprovevole. Ma credo che il problema debba essere cercato altrove. Più che il fotografo ritengo che si dovrebbe mettere in croce la committenza. È un peccato che l’ultima frase sia incompleta, perché forse in essa si potrebbe trovare la chiave di lettura dell’operazione. «Certo fotografare l’Abbazia, così, chiusa, voi capite che…». A mio avviso il senso della frase potrebbe essere che se non la fai così, una foto dell’Abbazia non la vendi. A livello etico non posso condividere la foto in questione, ma c’è anche da considerare che se ai fotografi non si chiedesse di confermare stanchi cliches iconografici, se in altre parole non gli si domandasse di illustrare storie scritte da altri, magari non sarebbero costretti a inventarsi questi trucchetti del mestiere per rendere accattivante qualcosa che accattivante di per sé non può essere. Credo che, in fondo, sarebbe sufficiente chiedergli di fare i fotogiornalisti, invece che gli illustratori.
E’ l’abbazia di Staffarda, l’ordine cistercense, per la precisione eh:
http://it.wikipedia.org/wiki/Abbazia_di_Staffarda